Il Computer che Venne dal Freddo
Anni '60.
Ingegneri elettronici e programmatori stanno colonizzando una valle circondata da verdi e dolci colline.
In pochi anni nasce una industria capace di esportare i propri prodotti tecnologici in tutta Europa.
No, non siamo in California. Siamo a Silistra, in Bulgaria.
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La Bulgaria esce dalla seconda guerra mondiale peggio di come ci era entrata: è uno dei paesi più arretrati e poveri d'Europa, con una economia quasi completamente agricola e gli sforzi di industrializzazione del governo comunista non portano i risultati sperati.
Il principale problema è che l'esportazione di prodotti agricoli e commodities non riesce a fornire alla Bulgaria abbastanza capitali per finanziare gli ambiziosi piani quinquennali che mirano a portare il paese al livello almeno degli altri partner comunisti del Comecon.
Persino l'URSS non vuole concedere più prestiti, e la Bulgaria è costretta a vendere sul mercato parte delle proprie riserve d'oro per cercare di raggranellare la valuta pregiata necessaria a comprare all'estero i beni strumentali necessari alle sue nascenti industrie.
La situazione è disperata.
Todor Živkov, leader del partito comunista bulgaro e presidente della Bulgaria, a questo punto ragione come farebbe oggi un venture capitalist, si rende disponibile a finanziare i progetti più ambiziosi e avanzati, sperando che uno abbia successo.
«Per un paese come la Bulgaria 10 milioni di lev non sono niente. Ma anche se una di queste dieci idee folli avesse successo, creando una produzione a livello mondiale con la quale possiamo conquistare nuovi mercati, questo sarebbe sufficiente.»
Il professore Ivan Popov ha una di quelle idee: sviluppare un'industria elettronica che possa produrre beni ad alto valore aggiunto senza necessitare di costose materie prime di cui la Bulgaria è priva e non ha i soldi per importarle.
Il professor Popov, nato in una famiglia socialista, è uno degli scienziati più importanti del paese. Laureato in matematica, prima della WWII fa ricerca a Tolosa e Parigi per poi aprire una piccola ma fortunata azienda di strumenti elettronici in patria.
Durante la guerra dirige uno stabilimento dell'AEG in Ungheria dove continuerà a lavorare anche dopo l'occupazione sovietica, approfittando della sua posizione per stringere legami professionali sia in tutto l'est europeo che in occidente.
Tornato in patria e iscrittosi al partito comunista scala i ranghi della nomenklatura scientifico-economica proprio anche per il suo "cosmopolitismo", parla fluentemente tedesco, russo, francese e ungherese, che lo porta a dirigere delle ricerche anche in Germania Est.
Il suo lavoro e spirito manageriale è dietro al primo grande successo della elettronica bulgara: la costruzione del computer Vitosha nel 1963, riuscendo a superare mille difficoltà pratiche e materiali, a partire dalla mancanza di strumenti abbastanza precisi.
Con queste credenziali e l'appoggio dello stato riesce quindi a creare nella città di Silistra, sulle rive del Danubio, la prima azienda elettronica bulgara, la cui prima produzione di serie sarà una macchina calcolatrice, la ELKA- 6521.
Non sorridete, in quegli anni solo altri tre paesi al mondo riescono a produrre calcolatrici elettroniche: USA, Regno Unito e noi, grazie all'Olivetti.
E infatti la successiva macchina, più piccola e efficiente, la ELKA 22, sarà un successo commerciale anche in occidente.
Se finalmente la Bulgaria ha un bene da esportazione che può portare la tanto agognata valuta pregiata nelle casse del paese, l'ambizione è quella di costruire computer. Computer abbastanza potenti da poter essere usati per i calcoli della pianificazione economica socialista.
Il grande ostacolo è l'embargo sui beni tecnologici istituito dagli USA e i suoi alleati all'inizio della Guerra Fredda, esercitato attraverso il Coordinating Committee for Multilateral Export Controls (CoCom), che ha tarpato ogni ambizione nel settore del blocco sovietico.
Le poche risorse in URSS vengono canalizzate esclusivamente nel settore militare, specie quello delle armi di offesa e difesa nucleare.
Ma la Bulgaria riesce a superare l'ostacolo in due modi.
Da una parte avvia un'intelligente diplomazia commerciale col Giappone che in in quel momento, per favorire la propria crescita economica, chiude un occhio sui conflitti politici, tanto da divenire il primo partner commerciale capitalista dell'URSS e di tutto il blocco sovietico.
Un po' come noi con la FIAT e Togliattigrad.
Così ditte giapponesi come la Fujitsu vendono licenze per la produzione di componenti elettroniche, ingegneri bulgari vanno a perfezionarsi nelle università nipponiche, lo stesso premier Živkov visita ufficialmente, primo leader comunista, il paese asiatico.
Ma assieme agli ingegneri, viaggiano anche le spie e così inizia il secondo modo con cui la Bulgaria riesce ad ottenere tecnologia dal mondo capitalista: l'intelligence.
Nel 1969 la Bulgaria ha il suo primo computer prodotto sotto licenza Fujitsu: il ZIT- 151.
L'industria elettronica bulgara cresce via via negli anni '70 fino a diventare negli anni '80 la produttrice del 45% dei beni elettronici dei paesi del Comecon e a impiegare nel settore il 10% della propria forza lavoro, anche molta femminile.
Addirittura si sperimentano, un decennio prima della globalizzazione post caduta del muro, le prime partnership con aziende occidentali in enclave dove vengono sospese le norme "socialiste".
Il più famoso prodotto di quel periodo è un clone dell'Apple II: il Pravetz 82.
Ma con gli anni il problema del "catch up" con l'occidente diventa sempre più complicato, non tanto dal lato dell'offerta dei prodotti, quanto nella mancanza di un mercato di sbocco per gli stessi.
La Bulgaria ha bisogno di $ e vendere elettronica all'URSS porta solo rubli.
E così quando i problemi del debito estero mettono in crisi il paese, e di conseguenza il regime comunista, come in gran parte dell'Est sovietico, la transizione ad una economia di mercato porta con sé anche la distruzione dell'industria statale elettronica.
Rimangono però le competenze, tanto che molti programmatori ed elettronici riescono a trovare lavoro all'estero, e quelli rimasti si creano "nicchie" dove prosperare: nel 1990 90 dei 300 virus informatici per PC-DOS in circolazione hanno origine in Bulgaria.
Questa storia è raccontata, in maniera molto più approfondita, in questo recente libro: Victor Petrov
Balkan Cyberia
Cold War Computing, Bulgarian Modernization, and the Information Age Behind the Iron Curtain
The MIT Press, 2023
Anche per oggi è tutto.
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Chi non lo fa è un virus bulgaro!